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QUARTO POTERE

Caso Gentile, l'ipocrisia dei giornali italiani

Il sottosegretario Gentile si dimette. È accusato di aver censurato un numero del suo quotidiano "Calabria Ora" per proteggere suo figlio. Ma scagli la prima pietra quel giornale che è senza peccato di collusione con la politica.

Politica 04_03_2014
Antonio Gentile

Il caso del sottosegretario alle infrastrutture Antonio Gentile, del Nuovo Centrodestra, scuote la maggioranza di governo. Renzi spedisce la patata bollente ad Alfano, che, all’unisono con gli altri esponenti del suo partito, respinge l’ipotesi di dimissioni del suo fedelissimo. Ma perché Gentile dovrebbe dimettersi? Per aver bloccato le rotative del giornale “Calabria Ora”, impedendo l’uscita di un numero che conteneva, in prima pagina, una notizia alquanto scomoda: quella di un’inchiesta a carico di suo figlio. In serata il sottosegretario ha rassegnato le sue dimissioni. Nella sua lettera ha annunciato che tornerà a «fare politica nelle istituzioni, come segretario di presidenza, e nella mia regione come coordinatore aspettando che la magistratura smentisca definitivamente le illazioni di cui sono vittima».

Ovviamente l’interessato smentisce e parla di fango mediatico, ma il direttore e i giornalisti di quella testata sono unanimi nell’accusarlo. Non conoscendo la verità dei fatti, ci asteniamo da giudizi stroncatori. Se fosse vero che il politico calabrese è intervenuto sull’editore, sul direttore e sullo stampatore per ostacolare l’uscita del quotidiano, ci sarebbe poco da aggiungere. Trattasi di comportamento ignobile che mortifica il principio della libertà d’informazione, che svilisce il ruolo del giornalista e che riduce la stampa a megafono di interessi di parte e strumento di battaglie che nulla hanno a che fare con il diritto dei cittadini ad essere informati. Nei regimi dittatoriali era così: esisteva la “reductio ad unum” ed ogni manifestazione di dissenso veniva compressa, soffocata e ricondotta nell’alveo dell’asservimento al pensiero unico, quello di chi governava. È successo indifferentemente nei regimi fascisti e nei regimi comunisti, con analoghi risultati rispetto alla qualità dell’informazione e alla trasparenza nel reperimento delle fonti delle notizie.

Oggi, per fortuna, con tutti i limiti della situazione italiana, siamo in democrazia e queste cose non dovrebbero succedere. Nessun Gentile di turno dovrebbe alzare la cornetta del telefono, fare pressioni su una testata, censurare una notizia di interesse pubblico che i cittadini hanno il sacrosanto diritto di apprendere dai media.

Semmai, la domanda che non sarebbe ozioso porsi è la seguente: ma siamo proprio sicuri che questo caso così plateale e ignobile di censura sia un’eccezione nel panorama editoriale italiano? Siamo certi che non esistono filtri subdoli e impercettibili ma ugualmente avvinghianti nel panorama editoriale italiano?

Nei giorni scorsi, i direttori dei più importanti quotidiani nazionali si sono affrettati a crocifiggere Gentile, auspicandone le immediate dimissioni, quasi fosse lui il killer di quella libertà d’informazione che gli stessi direttori quotidianamente calpestano, ignorando le più elementari norme deontologiche alla base dell’esercizio della loro professione e mostrando complicità evidenti con i propri editori e con i loro interessi extraeditoriali. E poi, perché quando è stata annunciata la lista dei sottosegretari gli stessi soloni del giornalismo non hanno immediatamente sollevato obiezioni sulla nomina di Gentile? Il loro moralismo, peraltro tardivo, svela ancora una volta il movente di certe esternazioni in favore della libertà di stampa: condannare soltanto chi non la pensa allo stesso modo, trincerarsi ipocritamente dietro un buonismo di facciata per coprire connivenze assai più perniciose per la libertà d’informazione nel nostro Paese.

La mancanza di editori puri nel nostro Paese è alla base della mancanza di direttori, conduttori e opinionisti davvero autonomi e capaci di raccontare la realtà senza precomprensioni, condizionamenti, cedimenti a posizioni faziose. I direttori manifestano in molti casi un chiaro orientamento politico. Quotidiani come Repubblica o Il Giornale dichiarano ogni giorno da che parte stanno, direttori come Mentana non perdono occasione per simpatizzare con Renzi e hanno figli che militano nel Pd, ex direttori come Gad Lerner hanno addirittura la tessera del Partito democratico e se ne vantano. Non a caso tutti i direttori delle principali testate chiedono l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, che, pur con tutti i suoi limiti operativi, rappresenta il presidio della deontologia e del rispetto delle regole professionali e si impegna a farle rispettare, non senza qualche dimenticanza colpevole.

La censura di una notizia da parte di un politico è innegabilmente un fatto deprecabile e da condannare, anche chiedendo le sue dimissioni, ma l’appartenenza più o meno organica di un direttore o anche di un semplice giornalista ad un partito o a una consorteria di potere politico o, peggio ancora, economico-finanziario, è forse meno vistosa ma ugualmente deplorevole e pregiudica l’effettiva maturazione di una reale libertà d’informazione nel nostro Paese.