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equilibri

Alle regionali 2-1 per la sinistra ma prevale l'astensione

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Partecipazione ridotta, pronostici confermati e alcune variabili significative nel voto in Veneto, Puglia e Campania che prepara il terreno alle elezioni politiche. Solo al nord-est la Lega regge il confronto interno con FdI, mentre sul fronte progressista il campo largo si rivela funzionante.

Politica 25_11_2025
SAVERIO DE GIGLIO - imagoeconomica

Le elezioni nelle tre regioni chiamate al voto consegnano un quadro politico che, pur confermando in larga parte i pronostici della vigilia, introduce alcune variabili capaci di incidere sugli equilibri nazionali. Il dato più evidente è il crollo netto dell’affluenza: oltre 13 milioni di elettori potevano recarsi alle urne, ma meno di uno su due ha scelto effettivamente di farlo. Il calo supera i dieci punti percentuali rispetto all’ultima tornata elettorale e segnala una disaffezione crescente verso la politica territoriale, spesso percepita come lontana e poco determinante. Una frattura che interessa tutti gli schieramenti e che apre interrogativi sulla capacità dei partiti di rappresentare, ascoltare e mobilitare il proprio elettorato.

Nonostante la partecipazione ridotta, l’esito delle urne si presenta piuttosto netto in due regioni e più articolato nel terzo territorio. In Veneto la vittoria di Alberto Stefani era ampiamente prevista: il centrodestra si conferma largamente maggioritario, pur mostrando una dinamica interna che merita attenzione. Il testa a testa tra Fratelli d’Italia e Lega certifica infatti le difficoltà del partito di Matteo Salvini, che in Veneto resiste solo grazie ai voti di Luca Zaia, apprezzatissimo governatore uscente, ma che nelle altre due regioni chiamate al voto subisce un vero e proprio crollo. Un segnale che stimola i vertici leghisti a una riflessione profonda: senza un ritorno deciso ai temi identitari e senza una ricostruzione del rapporto con il Nord produttivo, il rischio è quello di perdere definitivamente il ruolo di riferimento nei territori dove per anni il Carroccio ha rappresentato una forza egemone.

In Puglia, la netta affermazione di Antonio Decaro (centrosinistra) non sorprende, ma acquista un valore politico importante. L’ex sindaco di Bari ed eurodeputato Pd conferma una capacità di consenso ampia e trasversale, frutto di un lavoro amministrativo riconosciuto e di una campagna elettorale che ha saputo parlare sia alla base tradizionale del centrosinistra sia a una parte significativa dell’elettorato moderato. La vittoria pugliese, insieme a quella campana, permette al campo progressista di ribaltare il parziale rispetto alle precedenti elezioni regionali: se allora era stato il centrodestra a prevalere 2-1, questa volta il risultato si inverte e diventa 2-1 per il centrosinistra.

In Campania si registra forse il segnale politico più interessante. La vittoria di Roberto Fico, grillino della prima ora, testimonia infatti il buon funzionamento del cosiddetto “campo largo”, ricompattatosi attorno alla sua candidatura anche grazie alla regia di Vincenzo De Luca. Il presidente uscente, pur spesso in tensione con le dirigenze nazionali, ha gestito la fase pre-elettorale con un’abilità che molti osservatori riconoscono come decisiva: il suo appoggio a Fico è stato infatti accompagnato da un accordo politico che dovrebbe garantirgli la possibilità di ricandidarsi a sindaco di Salerno e di assicurare la guida regionale del Partito Democratico per suo figlio, Piero De Luca. Un’operazione complessa ma efficace, che ha consentito ai partiti del centrosinistra di superare fratture interne e di presentarsi uniti in un territorio decisivo.

Nel complesso, questo trittico di elezioni regionali ridisegna gli equilibri tra le coalizioni e prepara il terreno per le prossime elezioni politiche, verso le quali entrambi gli schieramenti arrivano con sfide differenti. Il centrosinistra appare più coeso rispetto ai mesi precedenti, rafforzato da due vittorie simboliche in aree cruciali e convinto della possibilità di ampliare ulteriormente la propria proposta. Molto più problematica, invece, la situazione del centrodestra. La crescita costante di Fratelli d’Italia, se da un lato garantisce un solido traino nazionale, dall’altro rischia di cannibalizzare gli alleati e generare tensioni interne, soprattutto con una Lega che vive una fase di ripiegamento e che teme di vedere eroso il proprio spazio politico e territoriale.

Le regionali, dunque, non consegnano solo dei nuovi presidenti, ma raccontano di un sistema politico in transizione. L’affluenza ai minimi storici, i rapporti di forza interni alle coalizioni e le strategie di ricomposizione o confronto tra i partiti saranno elementi decisivi nella lunga marcia verso le politiche. Un percorso che si preannuncia complesso, nel quale leadership, identità e capacità di mobilitazione peseranno almeno quanto i risultati di queste urne regionali.



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